Scuola e Costituzione

«Mercurio», a. IV, nn. 31-32-33, marzo-aprile-maggio 1947, pp. 5-9.

SCUOLA E COSTITUZIONE

Se in momenti di eccezionale crudezza come quello che attraversa l’Italia, è proprio dai migliori intellettuali che viene l’invito alla massima concretezza e alla dura imposizione di compiti precisi e fondamentali nella ricostruzione del paese (ed è questa l’antitesi piú netta con il coreografico estetismo di un regime che poteva preferire archi di trionfo ad acquedotti), è necessario d’altra parte affermare che il superamento della crisi che attraversiamo avrà un significato, sarà base di una civile possibilità di vita, solo se lo Stato italiano sarà rinnovato internamente e la sua classe dirigente trasformata e rinvigorita. E, di piú, nessuna trasformazione si rivelerà duratura se non sarà appoggiata su di una coscienza aperta, su di una cultura diffusa, meno socialmente squilibrata e timida. È perciò il grado di maturità con cui sarà risolto il problema della scuola che condiziona il grado di circostanza con cui certi punti essenziali della nostra nuova società potranno esistere ed essere utilizzati. E chi sente con la naturale passione questo problema fuori dei suoi lineamenti puramente professionali, sente insieme il disgusto per le formule facili e baldanzose, per gli appelli goethiani o schilleriani che non corrispondono al preciso senso in cui ogni parola deve modernamente e potentemente vivere. Specie in sede di Costituente, in cui la massima serietà coincide con la ricerca fanatica di calare ogni principio ideale in principio attivo e giuridicamente capace di permettere la vita di leggi il cui orientamento progressista o reazionario dipenderà, sí, dalle forze volta a volta predominanti, ma nei termini degli articoli costituzionali. Parole e silenzi hanno perciò massimo valore ed ogni parola vacua e insidiosa, ogni silenzio lasciato per debolezza, significano per noi uomini di sinistra e di sicuro spirito democratico, un varco aperto o una porta chiusa alle due strade su cui forze diverse in questa lotta vogliono avviare l’Italia localizzando i valori in posizioni diverse e contrastanti.

Cosí la battaglia per la scuola si è aperta sul contrasto circa l’ubicazione della libertà, circa la sua articolazione nel campo scolastico. Tutti concordano sul principio che l’insegnamento sia libero e che la scuola sia aperta al popolo, come è detto negli articoli 27 e 28 del Progetto di Costituzione. E sul secondo punto non c’è discussione anche perché la sua attuazione immediata è per ragioni economiche piú dilazionabile agli occhi di coloro che certo nel loro cuore (ma sono i meno) non possono sentire né il lato umano e di giustizia, né quello di utilità nazionale che contrasta con il loro interesse di casta ben vivo sotto le apparenti concessioni verbali. Ma è sul primo punto che si è aperto un dialogo, ora eloquente ora freddo e giuridico, con molta protezione di nebbie e di successive trincee al dietro delle quali vi sono resistente sormontabili solo con la maggioranza del voto. Il compromesso non è possibile sulla posizione essenziale che divide nettamente le sinistre dalla democrazia cristiana e su cui si sono divisi anche i liberali storici dai qualunquisti meno sensibili alla difesa della formazione democratica e della scuola nazionale. Si badi bene: non sono le posizioni anticlericali prefasciste né l’affermazione di una statolatrica intransigenza quelle che uniscono i consensi delle sinistre e dei liberali e d’altra parte molti democristiani potrebbero accedere ad esse se ascoltassero unicamente la loro ispirazione democratica e la democratica interpretazione del messaggio cristiano. Ma la linea cattolica (e quindi democristiana) è ormai chiara e, nei suoi aspetti contrastanti nel tempo e nello spazio, storicamente inconfondibile e in un certo modo condizionante in gran parte lo stesso atteggiamento di difesa della democrazia non confessionale.

La constatazione di due fronti è in questo caso indiscutibile ed è lealtà riconoscerla senza livore come simbolo di un punto di vista caratteristico del mondo moderno. La Chiesa, che durante i regimi assoluti preliberali usufruí di un effettivo monopolio scolastico e di un controllo rigorosissimo fin delle lezioni private (si veda la documentazione nel recente volumetto di F. Bernini, Scuola pubblica e libertà d’insegnamento davanti alla Costituente, Modena, 1946) e che tale controllo mantiene attraverso lo Stato là dove è ancora possibile come nella Spagna franchista, capovolse le sue posizioni con l’avvento dei regimi liberali ed iniziò una costante lotta per la «scuola libera», utilizzando le possibilità che il deprecato sistema liberale le dava, ricorrendo cosí alla libera concorrenza dove il monopolio appariva momentaneamente impossibile, assicurandosi viceversa privilegi e posizioni di protezione appena una possibilità si apriva in questo senso, come avvenne con il regime di Vichy nel novembre ’41 e la concessione da parte dello Stato di Pétain di sussidi ai vescovi per le scuole confessionali.

In Italia il punto fermo nella lotta fu messo dal Concordato che, mentre limitava la libertà nella scuola pubblica con l’esclusione dell’insegnamento di ex sacerdoti (caso Buonaiuti), la deformava con la precisa dichiarazione dell’art. 36 per cui l’Italia considerava «fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica l’insegnamento della dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica». Dichiarazione che voleva precisarsi come preambolo all’introduzione dell’insegnamento religioso, ma che in realtà offriva al piú autorizzato interprete della linea cattolica nell’enciclica Della cristiana educazione della gioventú la possibilità di un’abile estensione della sua validità in vista di una doppia via di controllo religioso nella scuola pubblica e di libertà sussidiata per le scuole confessionali: «è necessario che tutto l’insegnamento e tutto l’ordinamento della scuola, insegnanti, programmi e libri, in ogni disciplina, siano governati dallo spirito cristiano sotto la direzione e vigilanza materna della Chiesa per modo che la Religione sia veramente fondamento e coronamento di tutta l’istruzione, in tutti i gradi, non solo elementare ma anche media e superiore». Quando si pensi che la tesi assoluta coerente al pensiero cattolico distingue poi libertà per la verità e non per l’ «errore» («Soltanto alla verità appartiene il diritto di comparire nell’insegnamento: quindi soltanto a chi possiede la verità appartiene il diritto e la rispettiva libertà d’insegnamento» dice il padre Barbera nella «Civiltà Cattolica» del 1919 e papa Pio XI precisa nella Enciclica citata: «Dopo che Dio si è rivelato nel Figlio suo Unigenito, che solo è via e verità e vita, non può darsi adeguata e perfetta educazione se non per l’educazione cristiana», che solo i cattolici chiedono e possono avere praticamente le loro scuole (e il francese Jean Rolin sulla rivista dei gesuiti «Études» dell’ottobre ’46 riconosce che scuola libera è tesi puramente cattolica), e che infine sotto la difesa dei diritti alla famiglia non si può non leggere la esatta derivazione: diritto derivato da Dio e ci cui la Chiesa è naturale interprete, si capirà fuori di ogni accentuazione settaria come in questo caso si lotti per un reale privilegio e non per un principio le cui radici del resto si immergono proprio in teorie che i cattolici hanno sempre, con maggiore o minore elevatezza, combattuto.

È per queste ragioni che i rappresentanti delle sinistre e i liberali ammetteranno certamente, e per tutti, la libertà d’insegnamento, ma si opporranno con leale fermezza ad una superiorità della scuola confessionale effettivamente derivante dall’estensione delle parificazioni e dei sussidi statali alle scuole private. A parte il fatto che parificazione e sussidi (o alle scuole o sotto forma di ripartizione scolastica pro capite) darebbero incremento a quella scuola privata di specializzazione che, salvo lodevoli eccezioni, porta con sé il carattere di una preparazione utilitaria e provoca un vero abbassamento di cultura, la scuola dello Stato verrebbe a trovarsi di colpo in condizioni di inferiorità dato che le scuole religiose che si appoggiano a potenti Ordini e si avvantaggiano in gran parte di Convitti annessi verrebbero ad aumentare il loro bilancio con quella parte che sarebbe sottratta a quella già insufficiente della scuola pubblica. Perché il ragionamento spesso portato da parte democristiana indica proprio la necessità dell’iniziativa privata a causa delle deficienze statali che verrebbero cosí ad aumentare se lo Stato dovesse sovvenzionare scuole confessionali su cui comunque il suo controllo sarebbe debolissimo e che imporrebbero piú chiaramente una scelta obbligata ai giovani delle zone prive di scuole statali. Né vale l’affermazione che le tasse che i cittadini pagano per il mantenimento della scuola pubblica si raddoppierebbero per quelli che non vogliono servirsene e inviano i loro figli a quella privata, perché tale affermazione riguarderebbe ugualmente e piú decisamente la posizione dei cittadini non cattolici che pure contribuiscono alle spese del culto cattolico: e non ci consta che i democristiani abbiano sollevato tale questione. Per mantenere dunque l’effettiva parità della scuola pubblica di fronte alla possibilità di quella privata confessionale, occorre che si abbia un esame di Stato non «surrogato», che l’istituto della parificazione non sia adoperato come etichetta che autorizza il contenuto non controllato di ogni bottiglia, che le scuole private vivano con i loro fondi.

Offesa alla libertà, statolatria, acido spirito di parte? In realtà chi difende la scuola pubblica non difende una scuola di parte ed anzi difende la scuola libera, la scuola in cui tutti possono insegnare e tutti possono apprendere, difende una possibilità di formazione aperta che lo Stato ha il dovere di offrire ovunque e nella maniera piú efficiente possibile ai suoi cittadini. «Nella scuola di parte il maestro deve essere scelto soltanto fra quelli che siano disposti a giurare in quei dati articoli di fede; lo scolaro dev’essere plasmato unicamente sul modello prefisso. L’autonomia, l’indipendenza di pensiero e di giudizio, da cui sorgono e si sviluppano i caratteri onesti e leali, forti e diritti, che sono il fiore e il vigore di ogni popolo e di ogni età… è invece un pericolo ed una ribellione intollerabile in una scuola di parte…» scriveva nel 1922 un marxista di grandissimo valore, Rodolfo Mondolfo, e se il linguaggio può apparire antiquato e non adeguato ai sottili compromessi contemporanei, nessuno potrà negare la giustezza sostanziale di un esame che i fatti hanno confermato. Nella scuola pubblica in cui i cattolici possono insegnare ed apprendere in piena garanzia di libertà ci sembra siano proprio da porre le basi per una coscienza italiana moderna e libera, progressista ed aperta a tutti i fermenti della civiltà.

E se questi sono gli sviluppi del liberalismo migliore che i rivoluzionari piú coscienti riprendono per accompagnare le trasformazioni sociali con un animo che le sappia destinare al loro scopo di liberazione, ci sembra proprio che i punti da noi enunciati debbano indicare i limiti in cui viene a collocarsi per vivere e non illudere la libertà della scuola.